Il 29 luglio sono ripresi gli scavi presso la Pieve di Santa Maria in Castello, a Toano, e proseguiranno fino al 23 agosto, creando continuità con un progetto di studio e valorizzazione della pieve da parte dall’Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà iniziato nel 2017, con la collaborazione della parrocchia di S. Maria Assunta di Toano, la Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla e il Comune di Toano.
Già dallo scorso anno è stato possibile seguire, quasi quotidianamente, gli scavi attraverso la pagina dedicata Missione archeologica Unibo: progetto Toano, gestita dagli archeologi stessi.
Quest’anno, inoltre, attraverso la pagina del Comune di Toano si conosceranno i protagonisti, non solo i responsabili, ma anche i giovani archeologi, tra cui una ragazza proprio di Toano.
Iniziamo quindi a scoprire quali sono gli specialisti che operano presso la Pieve.
Cristiana Margherita, archeologa e antropologa, originaria di Taranto, ma da molti anni residente a Ravenna, nata nel settembre del 1989.
Cristiana quale percorso l’ha portata alla nostra Pieve e quale ruolo ricopre?
Durante la mia carriera universitaria mi sono dedicata allo studio delle sepolture soprattutto relative all’epoca medievale, essendomi laureata sia in triennale che magistrale con delle tesi in antropologia fisica. Dopo la laurea ho cominciato a lavorare in cantieri di archeologia di emergenza, ma dopo un po’ sentivo la mancanza di uno scavo universitario e soprattutto dello scavo di sepolture, per questo motivo chiesi al dott. Nicola Mancassola se era possibile scavare alla pieve di Toano, un contesto del tutto particolare e unico in quanto riguarda una pieve incastellata. Il mio ruolo all’interno dello scavo è quello di responsabile delle aree cimiteriali.
Quali altre campagne ha seguito e quale sarebbe il suo sogno lavorativo nel cassetto?
Durante gli anni di Università ho partecipato a diversi scavi archeologici, la maggior parte di essi si sono svolti nell’Appennino reggiano. Nel 2012 è iniziata la mia avventura tra i castelli dell’Appennino tosco-emiliano, incominciando da Monte Lucio, nel comune di Quattro Castella e proseguendo con la Pietra di Bismantova a Castelnovo ne’ Monti.
Attualmente sono iscritta alla Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell’Interateneo di Trieste, Udine e Venezia, ma il mio sogno sarebbe quello di proseguire la carriera universitaria attraverso un dottorato e poi chissà.
Come antropologa ha studiato non solo i resti umani presso la pieve di Toano, ma anche quelli della necropoli di Castel Pizigolo. Cosa ci può dire sulle condizioni di vita dei nostri antenati che hanno vissuto nel Medioevo?
Lo scavo archeologico di Castel Pizigolo ha portato alla luce un totale di 8 sepolture. Purtroppo, quelle adatte per lo studio antropologico sono risultate 3, le quali conservavano un totale di 8 individui, tutti relativi alla fase medievale di XIII-XIV secolo.
Le sepolture di due infans sono risultate le più interessanti, infatti entrambi questi individui di età compresa tra i 4 e gli 8 anni, presentavano delle alterazioni a livello scheletrico che sono proprie dello scorbuto, malattia conseguente ad un apporto insufficiente di vitamina C (acido ascorbico). L’acido ascorbico è contenuto in particolare nella frutta fresca e nei vegetali crudi, ed è fondamentale per la formazione del collagene, proprio per questo, una deficienza di vitamina C porta ad una formazione ossea difettosa o assente, con effetti sulla crescita scheletrica, nonché una fragilità dei vasi sanguigni.
È stato poi analizzato un ossario, il quale conservava i resti di 6 individui. Per il compromesso stato di conservazione dei suddetti, si è potuto analizzare in maniera più approfondita solo un individuo adulto, il quale è risultato tendenzialmente femminile. Gli indici osteometrici hanno mostrato un maggiore utilizzo degli arti inferiori. Lungo la colonna vertebrale sono state individuate delle ernie di Schmorl le quali solitamente sono ricollegate a movimenti di flessione per sollevamento di oggetti pesanti. Inoltre, sull’individuo sono state riscontrate patologie a livello dentario come periodontite, perdita dei denti intra vitam e tartaro.
Quali erano le modalità di sepoltura in quelle epoche lontane?
Per quanto riguarda le sepolture del periodo medievale sono tendenzialmente molto semplici. Gli individui erano generalmente deposti in terra nuda, in cassa lignea o lapidea, o scavate della roccia. Potevano inoltre essere avvolti in un sudario. Il corpo abitualmente era disteso in decubito dorsale con le mani stese lungo i fianchi o poste sul bacino.
Passando ora a questioni più concrete, quali sono le difficoltà maggiori in una campagna di scavi come questa?
Durante le campagne di scavo universitarie, come questa, essendo concentrate dalle 2 alle 4 settimane, è molto importante sfruttare al meglio questo periodo per raccogliere il maggior numero di informazioni nel miglior modo possibile.
È bene quindi organizzare il lavoro già prima dello scavo stesso e cercare di seguire il cronoprogramma in maniera infallibile.
Voi dormite non lontano dalla pieve e siete tutto il giorno a scavare terra e sassi, quale fiamma deve ardere in una persona per scegliere l’archeologia come lavoro?
Di sicuro bisogna essere mossi da tanta passione e motivazione. L’amore e la curiosità per la conoscenza del nostro passato è sicuramente la fiamma che arde all’interno di ogni archeologo.
Se dipendesse da lei come valorizzerebbe quanto sta emergendo dagli scavi, ipotizzando di avere a disposizione fondi illimitati?
Sicuramente si potrebbe organizzare meglio la sentieristica e dopo aver restaurato le strutture murarie dello scavo rendere accessibile lo stesso attraverso un’area archeologica.
Sarebbe interessante creare una piattaforma web integrata con tutte le informazioni relative ai vari castelli della zona e ai sentieri che portano a tali evidenze. Grazie alle nuove tecnologia i dati 3d acquisiti durante le fasi di scavo potrebbero essere riutilizzati in tale piattaforma in modo da rendere più coinvolgente la visita virtuale e non ai siti archeologici.
Nei nostri luoghi si parla solo di Matilde di Canossa e della Seconda Guerra mondiale, pare che prima e dopo non ci sia stata storia che abbia lasciato tracce; è così o forse siamo noi che non le vediamo?
Penso che in questi luoghi si parli solo di Matilde di Canossa e della Seconda Guerra mondiale più per una questione di impatto culturale che di assenza reale dei contesti precedenti o successivi.
Probabilmente è anche per una questione puramente visiva, i castelli del periodo di Matilde di Canossa sono tangibili così come le tracce della Seconda Guerra mondiale che ancora si ricordano attraverso i superstiti.
Inoltre i siti protostorici, ad esempio, per una persona esterna al mondo archeologico, sono più difficili da comprendere, proprio per questo sfruttare le nuove tecnologie potrebbe incrementare il potenziale turistico del territorio e allo stesso tempo valorizzarne l’aspetto scientifico.
Lascia un commento